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← Back to IdeasHealth & Wellbeing: I nuovi paradigmi della comunicazione
Premessa
In Ogilvy Health, il nostro ambito di ricerca e lavoro è proprio lo spazio in cui persone e brand dialogano relativamente ai temi della salute, del benessere, della qualità di vita. Unendo competenze specialistiche in ambito di comunicazione medico-scientifica alla visione strategica, creativa e tecnologica del gruppo Ogilvy, creiamo le condizioni e le soluzioni per cui questo dialogo si sviluppi a favore della salute individuale e pubblica.
Cura di sé e del benessere sono temi che in questi ultimi due anni sono ritornati fortemente nella nostra vita. La pandemia di Covid 19 ha fatto emergere la necessità di un ben-essere che non può essere solo forma, ma deve essere sostanza. Quanto tutto questo ha cambiato i paradigmi comunicativi di questo settore?
Sicuramente la comunicazione da parte dei brand, a prescindere dai settori in cui operano, ha accelerato la propria evoluzione in conseguenza dell’impatto della pandemia e dei cambiamenti negli stili di vita e di consumo che ne sono seguiti.
Parlo di accelerazione perché alcuni mega-trend già in atto – ad esempio, il focus sulla responsabilità sociale e sul brand purpose – hanno trovato nella risposta alla pandemia il campo di applicazione perfetto. Oggi i brand sanno di dover prendere posizione e contribuire allo sforzo valoriale e sociale in atto: non possono permettersi ad esempio di continuare sponsorizzare testimonial con comportamenti e prese di posizione complottisti o no-vax, come nel caso di Novak Djokovic (https://www.open.online/2022/01/08/covid-19-novak-djokovic-sponsor/). Né possono permettersi di sostenere un approccio consumistico indiscriminato: il ritorno in auge di Patagonia, sull’onda della loro filosofia “don’t buy our products, repair old ones”, non a caso è coinciso con l’emergere di nuove modalità di consumo post-pandemia.
I marketer e i brand hanno riconosciuto e preso atto della modifica della gerarchia dei bisogni dei consumatori: nei termini della piramide di Maslow, dalla ricerca di autostima e realizzazione la priorità si è spostata verso il bisogno di appartenenza e sicurezza. Il benessere è stato ri-focalizzato dall’edonismo e dall’aspirazionalità verso il riconoscimento delle piccole cose, dei gesti concreti, il recupero di tempo, cura di sé e degli altri, la riscoperta di come si possa creare il benessere già tra le pareti di casa: purificazione, igienizzazione, ma anche lettura, dialogo, condivisione in famiglia. E’ importante che da subito il ‘benessere di sostanza’ sia stato letto in maniera olistica: fisico, psicologico, emotivo e mentale.
Il linguaggio della comunicazione, verbale e visivo, si è certamente evoluto in risposta alla pandemia: meno euforia, meno eufemismi, meno eccessi; al tempo stesso, più empatia e maggiore mediatizzazione delle sofferenze (fisiche, psicologiche ed emotive). Non tutti i settori e non tutti i brand hanno ancora trovato l’equilibrio giusto tra queste componenti, ma i cambiamenti sono evidenti.
Quali sono state le scelte del comparto dal punto di vista strategico e come si sono differenziate nei vari ambiti (food, cura della persona…)?
Della responsabilità e della ricerca di empatia abbiamo già parlato. In realtà la comunicazione ha passato almeno due grandi fasi negli ultimi due anni: la reazione contestuale, a breve termine, di fronte alle incognite e alla paralisi socio-economica; e la maturazione di nuove strategie, che come indicavo prima si allineano a mega-trend già in atto. Oltre a distinguere queste due fasi, vorrei anche mettere in luce le differenze tra gli ambiti healthcare/farmaceutico da un lato, e quelli più laici/di largo consumo dall’altro. Parliamo prima di questi ultimi.
Nella prima fase, che ho chiamato “contestuale”, si sono sintonizzati sul ciclo delle news e sul nuovo vissuto dei consumatori: quasi tutti hanno giocato sulla contrapposizione tra la necessità di distanziarsi e quella di sentirsi vicini. In questa fase le comunicazioni dei brand si sono molto uniformate nei contesti che rappresentavano (confinamento, relazioni a distanza, ecc), come nel linguaggio: secondo una ricerca Treccani, le parole più usate negli spot in tempo di pandemia sono state “insieme”, “casa”, “sempre”, “grazie”, “Italia” e italiani”. Insomma, meno aspirazione e appunto maggiore aderenza all’esperienza quotidiana del lockdown. E’ stato certamente abusato il verbo “tornare”, promessa di ottimismo da parte di brand che riconoscevano la difficoltà del momento, ma che al tempo stesso invitavano le persone a non dimenticare la loro funzione propositiva ed euforizzante. I brand si sono affannati a trovare le parole più in sintonia con l’esperienza dei cittadini: “oggi”, “in questo momento”, “abbiamo capito che”, “sosteniamo”: sfoggio di awareness e responsabilità (ma anche implicita ammissione di rottura con il proprio passato comunicativo).
In questa fase alcuni brand sono riusciti tuttavia a trovare il punto aureo di contatto tra il proprio purpose e i bisogni contingenti dei propri consumatori: in Ogilvy siamo orgogliosi del lavoro fatto con Trentino Marketing (https://www.ufficiostampa.provincia.tn.it/Comunicati/Premiata-la-campagna-Respira-sei-in-Trentino), in cui la necessità fisica e psicologica di “tornare a respirare” in sicurezza dopo il lockdown è stata interpretata come il perfetto insight per scegliere una vacanza o un break in Trentino.
Un’altra operazione contestuale di grande spessore è stata quella che Ogilvy ha ideato e orchestrato per Levissima (https://youmark.it/ym-youmark/levissima-con-ogilvy-ringrazia-in-silenzio/): ri-dedicare il budget media dei mesi di pandemia al sostegno dell’azienda sanitaria del proprio territorio di origine sembra un controsenso in ottica numerica e di dati, ma mostra il lato più responsabile, costruttivo e coerente con il brand purpose.
Nella fase di comunicazione successiva, quella della maturità, abbiamo continuato a vedere prodotti di consumo (alimentari in particolare) cogliere l’occasione di sottolineare il loro valore emotivo e il potenziale di condivisione – si pensi alla campagna Barilla “un gesto d’amore” (https://www.youtube.com/watch?v=cq2VjSCjGwo). Ancora una volta, brand purpose ed esperienza del consumatore maturata nel corso del lockdown.
Veniamo ora al comparto health & wellness, che vive un doppio paradosso: da un lato, sembra aver cambiato meno i propri paradigmi rispetto agli altri mercati. La comunicazione dei brand consumer healthcare (dai farmaci da banco ai dispositivi medici) spesso sembra addirittura ‘congelata’ a un mondo pre-pandemia, in cui se stai male e tossisci l’importante è poter contare su un prodotto che ti consenta comunque di uscire e proseguire la tua vita senza intoppi. A questo immobilismo ha contribuito anche il calo di business per i farmaci da banco durante questa pandemia: lockdown, mascherine e prudenza hanno ridotto l’esposizione all’influenza, a traumi e dolori muscolari, ecc. Con la sola notevole eccezione degli integratori per le difese immunitarie, e per alleviare ansia e disturbi del sonno, il comparto risulta rallentato, quasi immobile in termini di comunicazione.
La comunicazione medico-scientifica non ha subito radicali modifiche nei contenuti, ma si è concentrata su piattaforme digitali (enorme lo sforzo per trasformare eventi e convegni ‘in presenza’ in esperienze digitali coinvolgenti) e su modalità efficaci anche quando la soglia di attenzione del target è minima – la lotta per conquistare il tempo che medici e farmacisti passano sul web è diventata serratissima.
La seconda parte del paradosso è che i brand healthcare sono proprio quelli che con la pandemia hanno visto crescere di più il riconoscimento e la fiducia da parte dei cittadini - si è parlato di salute da mattina a sera, e più di tutte le aziende farmaceutiche sono state riconosciute come parte attiva e costruttiva della società. Come ha recentemente ricordato Adam Hessel, Chief Creative Officer di Ogilvy Health: chi produce farmaci e prodotti per la salute non vende oggi semplicemente un prodotto - propone la propria visione di come sviluppare tecnologia e soluzioni per il bene dell’umanità. Senza il Covid, non avremmo mai visto un’azienda come Pfizer creare uno spot da mandare in onda durante il Superbowl (https://www.ispot.tv/ad/q8rF/pfizer-inc-will-and-grit), uno degli eventi più popolari e mediaticamente esposti del pianeta.
Quali sono i valori e le chiavi di comunicazione più efficaci in questo momento?
In termini di strategia di brand, si sta sicuramente affermando lo spostamento degli investimenti su attività di fidelizzazione e consolidamento della base clienti, rispetto ad esempio a instant advertising o alla comunicazione contestuale che invece si era affermata nella prima fase della pandemia, più incerta e spiazzante per consumatori e stakeholder.
In termini di valori e linguaggio, si sono affermate spontaneità, empatia, responsabilità, onestà, purpose, partecipazione sociale. Espresse non tanto come chiavi di vendita, ma come riallineamento con il vero nucleo del business e dei brand.
Riscoperta della bellezza e della meraviglia: arte, impegno personale e generosità sociale/condivisione stanno diventando valori sempre più rilevanti anche per la comunicazione commerciale. Il riassetto delle priorità che i cittadini e i consumatori hanno maturato vivendo la pandemia sta portando a uno stile di consumo più esigente, che soddisfi l’anima prima ancora che solletichi la curiosità o il narcisismo. Stiamo monitorando questi cambiamenti con molta attenzione, perché ne nasceranno priorità e stili di consumo nuovi, che per molti brand possono costituire una seconda giovinezza e una grande opportunità di espansione.
Sono emersi anche nuovi canali per parlare con i target: quali?
In primis (sorprendentemente), si è visto un ritorno dei canali tradizionali: alla TV e – dopo il lockdown – all’outdoor. Due canali più pubblici, più condivisi, più ‘solidi’ di altri, in coerenza con i valori e i linguaggi affermatisi post-pandemia.
In parallelo, abbiamo riscontrato un’ulteriore espansione della comunicazione digitale finalizzata alla vendita e all’e-commerce (specialmente sulle piattaforme di TikTok, Amazon, FB). Nel mondo digitale sta calando l’advertising, a favore dell’esperienza di acquisto e dell’utilizzo sempre più sofisticato di grandi o piccoli influencer.
Quando poi il contenuto generalista, pubblico e popolare monopolizza i media tradizionali e arriva a colonizzare anche le conversazioni e la produzione di contenuti tra utenti – l’ultimo Festival di Sanremo ne è stato un esempio perfetto – nascono fenomeni di grande portata, in cui il tam-tam dei social si adatta perfettamente – ed è perfettamente ripreso e ‘istituzionalizzato’.
Brand che amano creare esperienze coinvolgenti per i propri target – dal lusso, alla moda, al wellness – si sono orientati sempre più alla creazione di digital experience in sostituzione o integrazione a quelle ‘live’: un trend che in Ogilvy abbiamo addirittura anticipato, creando un’offerta verticale in ambito experience, capace di porre la connessione emotiva tra brand e consumatori alla base della crescita del business facendo leva su un utilizzo strategico dei dati e della tecnologia.
Come agenzia quali sono i cambiamenti che avete dovuto affrontare: quali sono state le difficoltà e le innovazioni maggiori?
Il nostro è un lavoro di team, in cui il talento personale si esprime al massimo quando si confronta con quello dei colleghi: per questo ci siamo impegnati moltissimo per evitare le ‘bolle’ di isolamento (soprattutto per chi è entrato in agenzia durante il lockdown!), e recuperare l’espressività e l’entusiasmo che caratterizzano il nostro lavoro.
Da prima dell’emergenza Covid-19, Ogilvy era già equipaggiata per lo smart working; abbiamo semplicemente potenziato i tool e l’organizzazione per rendere il lavoro più flessibile e gestibile da parte di ciascuno.
In Ogilvy, infine, sono fondamentali la possibilità di bilanciare vita professionale e personale, l’attenzione al benessere e il supporto alla salute mentale e fisica. Chi lavora in Ogilvy ha potuto contare, anche durante la pandemia, su molte iniziative in area benefit&wellbeing: supporto emotivo e counseling, guide e best practice, percorsi formativi dedicati a smart&remote working e allo sviluppo delle abilità di resilienza.